Il 10 gennaio 1991 è una data importante. Una pietra miliare nella lotta alla mafia. È il giorno in cui il Giornale di Sicilia pubblica una lettera che cambierà per sempre la percezione sociale del fenomeno mafioso del racket delle estorsioni.
La lettera è quella di Libero Grassi. Un imprenditore, una persona normale, che si rivolge pubblicamente al suo "caro estortore" - con pacatezza ma anche con fermezza - per invitarlo a non insistere nella sua richiesta estorsiva ché tanto lui non avrebbe mai pagato.
Fino a qual momento le estorsioni delle famiglie mafiose agli imprenditori e commercianti erano, nei fatti, un affare privato tra estorti ed estortori. Altri, prima di Libero, si erano ribellati all'imposizione mafiosa ma lo avevano fatto provando a resistere da soli. Nel silenzio. Finendo per soccombere alla violenza mafiosa, spesso nel dubbio di una complicità con la mafia.
Nemmeno lo Stato mostrava la giusta attenzione al fenomeno.
Libero, invece, sceglie la comunicazione pubblica come azione di difesa e di contrasto alla richiesta estorsiva, nella speranza - purtroppo vana - di trovare sostegno e solidarietà nei suoi colleghi imprenditori ma anche di attenzione da parte delle forze dell'ordine.
Accadrà esattamente il contrario. Libero troverà da una parte l'ostracismo dei suoi colleghi imprenditori e dall'altra uno Stato rappresentato da giudici, come il Giudice Russo, che in una sentenza - più volte criticata dallo stesso Libero - giustificava gli imprenditori che si sottomettevano al pizzo.
Libero non sopravviverà. Il 29 agosto di quello stesso anno sarà vilmente assassinato. Lo uccise, certamente, la mafia. Ma anche il colpevole silenzio di chi lo lasciò solo in quella battaglia.
Tuttavia, Libero non è morto invano. Sopravvive il suo coraggioso, il suo esempio. Che anche noi, col nostro modesto lavoro, proviamo a mantenere vivi.